Palazzo Fieramosca

Il palazzo Fieramosca è tra i maggiori edifici di Capua, sia per vastità d’impianto che per l’interesse della stratificazione delle sue strutture e delle superstiti ornamentazioni. La sua morfologia esterna rivela almeno tre importanti fasi costruttive. Sulla prima, di gusto romanico (di cui sussiste la zona basamentale, con parametro a vista e monofore), probabilmente corrispondente all’impianto di un primitivo palazzo de Capua, è stata infatti operata la trasformazione gotica, realizzata nel XIII secolo da Giovanni d’Angiò, figlio di Carlo II. Di essa sussistono il bel portale di accesso e le archeggiature d’inviluppo di grandi bifore al piano nobile, oggi tompagnate, alternate a grandi archi circolari. Un successivo ampliamento nel primo Rinascimento, corrispondente all’acquisizione dell’edificio da parte della famiglia Fieramosca (collocata tra il 1447 ed il 1496), e realizzato da Rinaldo Fieramosca (non si conosce il nome dell’architetto) comportò una importante variazione altimetrica, con la creazione di un piano intermedio, o meglio con l’attribuzione degli oculi ad un piano superiore, conseguente ala realizzazione di un solaio intermedio. In tale occasione fu spezzata e qua e là disinvoltamente ricomposta la ricca cornice originale che delimitava l’imposta delle ornie a bifora. Assai notevole è la loggia della torre angolare, con le pitture superstiti, tra le poche dell’epoca per Capua. Una serie di modifiche nel XVIII e XIX secolo comportarono il rifacimento della scala, la chiusura delle logge con l’esecuzione di balconi, le modifiche distributive interne e finalmente, negli anni Sessanta, la ristrutturazione interna del corpo sul cortile, con l’esecuzione di una sopraelevazione abusiva, poi rimossa dai nuovi proprietari. L’area occupata dal duecentesco palazzo de Capua rientrava nella parrocchia di S. Giovanni dei Nobili, già esistente nel X secolo e il cui circondario conservò un aspetto rurale fino al XII secolo (Di Resta); nel XIII, l’area venne in parte occupata dal primitivo edificio. Ricerche recenti consentono le seguenti ulteriori precisazioni.

Già nel Duecento l’attuale palazzo Fieramosca aveva probabilmente una forma ad L, anche se del primitivo impianto romanico sopravvivono poche tracce. Nell’interno esso presenta un porticato, con arcate a tutto sesto su colonne di spoglio; le volte a crociera sui lati sud-est e sud-ovest sono ad arco acuto, mentre sono a tutto sesto le volte realizzate in seguito all’ampliamento quattrocentesco. Nel Trecento l’edificio aveva già subito delle trasformazioni che non ne avevano però alterato il primitivo impianto romanico. Risale a questo periodo la realizzazione di una loggia aperta al primo piano e della sala coperta con quattro volte a crociera tutte convergenti su una colonna centrale, perduta in seguito ai danni bellici. L’ipotesi formulata già dal Granata, che l’edificio abbia subito la propria trasformazione in seguito all’essere passato in proprietà di Ludovico di Durazzo (padre di Carlo III), trova conferma nella presenza della fascia gigliata che forma cornice al portale e nella notizia che le armi della famiglia reale furono a lungo presenti sulle colonne del portico interno, sicchè tali lavori dovettero esseri compiuti dopo il 1336, anno in cui la famiglia si sarebbe trasferita a Capua (ric. Di Resta). La facciata sud-orientale, caratterizzata a piano terra da un portale angioino in posizione laterale a cui si affiancano semplici monofore, presenta al primo piano bifore tompagnate e finestre rettangolari con cornice aggettante, poste al di sotto di aperture circolari (le due ultime a sinistra sono evidentemente seriori). Nel corso della trasformazione quattrocentesca l’impianto dovè essere regolarizzato su forma quadrata e il cortile fu chiuso sul fondo da un porticato che delimitava un giardino pensile, ancora esistente. Un particolare interessante è costituito dagli unici tre capitelli longobardi presenti nel cortile, relativi alle colonne trasformate nel Settecento. Si ritiene che essi provengano dalla chiesa di S. Giovanni dei Nobil’Uomini (o Landepaldi), essendo contemporanee la trasformazione settecentesca del porticato e la demolizione della chiesa (Di Resta); secondo un’altra ipotesi essi sarebbero stati inseriti nel corso del Quattrocento (Bertaux). Va però osservato che il binario di colonne prossimo al corpo meridionale del fabbricato, subito all’uscita dell’androne, mostra un singolare sistema architravato che è formalmente del tutto coerente con i sottostanti capitelli longobardi. È perciò probabile che tali elementi siano ancora nella loro posizione originaria, il che ne spiegherebbe la singolarità strutturale rispetto alla scansione corrente del porticato.
Nel corso dell’Ottocento il palazzo fu ancora oggetto di trasformazioni e manomissioni. Divenuto proprietà dei Saulle, nel 1837 fu deturpato da una serie di interventi che modificarono le logge gotiche e le terrazze quattrocentesche, allo scopo di realizzare spazi minimi per abitazione. Il processo di degrado è stato progressivo, con l’eccezione costituita dal restauro del 1914 effettuato dal Bernich, in seguito al quale l’edificio fu inserito nell’elenco degli edifici monumentali. In anni recenti si è provveduto a liberare la torre angolare dalle superfetazioni ottocentesche, restituendo la visibilità della bella monofora tardo angioina e delle vivaci ornamentazioni pittoriche superstiti. Un auspicabile intervento di restauro dovrà affrontare il problema del ripristino della parte crollata in seguito ai bombardamenti dell’ultima guerra, l’agibilità della torre e – attraverso gli opportuni saggi – il riconoscimento di altre eventuali strutture antiche al piano terra, dove le successive manomissioni sono state meno rilevanti.
Va inoltre segnalato, come ulteriore esempio di una soluzione tipicamente capuana, il sopravvissuto giardino pensile, che occupa parte del braccio orientale, le cui architetture sorreggono una terrazza.

Bibliografia: Capua Architettura e ArteCatalogo delle Opere vol. I – II, di G. Pane – A. Filangieri, 1990.

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